Masseria di San Pietro

Possiede questo Convento una massaria detta volgarmente San Pietro nel ristretto di questa Terra di Ceglie, di tomola 210 di terre serrate, arbostate con alberi sperti d’olive, alberi di ghianne, ed altri alberi fruttiferi, e cento quarantasei tomola di terre demaniali con cisterne cinque, ed un conco, con tre case lamiate, chiesa, pagliera, rimessa, con suppenne di bovi, neviera, che col tempo sarà acquaro, quattro corti distinti, due grotte, ed altri membri, confina da levante con la massaria detta San Giovanni, con gli beni del Rev.do Capitolo di Martina da ponente, via pubblica, che si va da Ceglie in Martina da mezzogiorno, qual via lascia a man diritta le chiusure antiche di detta massaria e a man sinistra la chiusura nuova ed altri confini.

Pervenne al convento per compra fatta dal Padre Andrea di Ceglie, nomine conventus, con danari del deposito di esso Fra Andrea e del converso Fra Giorgio, benché le Platee dicono che fu danaro de’ capitali spettanti al convento del fu Notaro Francesco Antonio Fascilla di Carmignano commorante in Lecce, per docati 350, del qual prezzo docati 250 si consegnarono manualiter, e de’ contancti, e ducati 100 li lasciò il venditore al monastero per fondo d’un pio legato di Messe 36 l’anno e un anniversario a’ 3 di novembre per l’anima sua e de’ suoi. Il tutto appare per mano di Notaro Francesco Antonio Pizzidiaco di Lecce a’ 6 gennaro 1648. Se ne conserva copia sub littera H num. 2do. E più un’intercertera di questo istromento pel Notaro Antonio Ligorio sub litt. A num. 78.

Primo possessore di questa Masseria era un tal Giambattista Monaco di Ceglie, il quale con altri beni la sottomise ad un’annuo censo di docati 180, per lo capitale di cocati 2000, ad un tale Don Ramiro Villanos, spagnuolo commorante in Brindesi, come per istrumento rogato per mano di Notar Cesare Pizzica di Brindesi a’ 10 dicembre 1585. Se ne conserva copia segnata litt. A num. 57.

Nel 1626 a’ 10 gennaro Don Pietro Villanos figlio ed erede del detto Don Ramiro fè vendere a’ pubblici incanti la detta massaria di San Pietro e fu liberata ad esso Don Pietro per docati 500 come per gl’atti di Notaro Pietroantonio Sorano di Casalnuovo a’ 10 gennaro 1626. Detto Don Pietro Villanos vendè questa Massaria con un altro censo e credito per docati 1500 al detto Notar Francesco Antonio Fascilla, come gl’atti di Notar Francesco Antonio Pedaci di Lecce a’ 14 maggio 1626. E perché detto Notar Fascilla restò debitore per detta compra al suddetto Don Pietro Villanos in docati 860, perciò impose un censo sopra detta massaria al nove per cento, questi docati 860. Notar Fascilla se la rinfrancò, come negl’atti di Notar Donato Maria Brunetti di Lecce a’ 12 febbraio 1633.

Nell’anno 1628 Notar Fascilla vendé questa massaria a Don Gian Francesco Stepano di Lecce per docati 530, e perché non fu pronto il danaro, ne fondò censo col patto di affrancarlo quandocumque, come per Notar Giacinto Giordano di Lecce a’ 15 gennaro 1628. poi a’ 6 gennaro 1648 detto Gianfrancesco Stepano retrocesse e retrovendé questa massaria di San Pietro allo stesso Notar Francesco Antonio Fascilla per Notar Antonio Pizzidiaco di lecce e nell’istesso giorno 6 gennaro 1648 vendé al monastero detta massaria, come si è detto.

Il detto Notar Fascilla nell’anno 1632 si transigè ed accordò con Giannantonio Isnaldi, commorante in Ceglie, per un capitale di docati 110 all’otto per cento in favore di detto Notar Fascilla, come per istrumento di Donato Cristofaro di Ceglie commorante nella Terra di Santa Susanna, dico l’anno 1632.

Si deve avertire per le terre serrate di questa massaria, come in tempo si fece la compra, erano dette terre serrate tumula 130, come per istromento della compra e dallo stromento censuale di Giambattista Monaco, segnato litt. A num. 57.

Nell’anno 1717 ebbero gli Padri dall’Illustre Duca don Francesco Sisto di Ceglie, di serrare altri tomola 60 di demanj in questa massaria, e li deritti soliti pagarsino all’Ill.stre Duca per queste concessioni si presero da’ capitali. Secondo la concessione serrarono le tumula 60 demanj gli Padri del convento. Li cittadini assaltorono e diroccarono li pareti già fatti. Se ne fece causa in Sagro Consiglio e s’ottenne Decreto favorevole sotto il Commissario Regio Maggiocca, e si fu: liceat venerabili monasterio Ordinis predicatorum Terra Celiarum claudere parietibus, eius territorium pro quantitate contencta in concessione facta per Ill. Ducem celierum, servata forma eiusdem concessionis, verum tempore clausure... scrivano Cristina. Questo Decreto fu confermato dal Sagro Consiglio in gradu restitutionis in integrum a’ 12 giugno e a’ 7 luglio 1724.

Questa chiusura oggi si chiama la chiusura nuova e confina coll’altre chiusure di detta massaria San Pietro nella via publica che si va da Ceglie a Martina.

Dal fin qui detto su questa chiusura costa che l’Illustre Duca ha la facoltà dif ar parietare gli demanj, come l’aveva la Casa Sanseverino tanti secoli in dietro; giacché fu allegato dalla parte de’ cittadini che l’Ill.stre Duca non aveva questo privilegio, eppure il Sagro Consiglio fece e confirmò il Decreto e con ciò il Privilegio dell’Ill.stre Duca. Di questo decreto se ne conserva copia colle provvisioni e dell’esecuzione datali dal Governatore di Cisternino, segnata litt. A num. 104.

Sebbene in cassa di deposito vi sia un’altra concessione dell’Ill.stre duca Luperano (forse Lubrano) di serrarsino tumula 160. Per qual concessione si pagarono gli deritti e vi sono documenti sub litt. C num. 15. Pur tutta volta non si serrarono dette terre per gl’ostacoli de’ cittadini, e per recuprarsi il danaro speso si fecero moltissime liti. In ultimo venuto a morte Don Domenico Luperani lasciò al convento nel suo testamento 100 animali minuti, con condizione che gli Padri cedessero alla lite per gli detti danari e gli Padri se ne contentarono, necessitate coacti, come si ha da libro vecchio de’ consegli a’ 3 giugno 1708.

Not. Tomaso Lamarina

Pietro Di Summa, Agrimensore

La Masseria San Pietro confinava a tramontana con la Masseria Semarano, a levante con la Masseria del Sig. Bartolomeo Orimini detta Palazzo, a ponente con la Masseria Santissimo del Capitolo di Martina e a mezzogiorno con la Masseria San Giovanni, Lama d’Abbraccio del Capitolo di Ceglie, i beni del Canonico Amati ed i beni del Canonico Giovanni Nannavecchia, denominati Specchia Preziosa verso il territorio di Locospinuso.

don Gianfranco Gallone

n.b. : la descrizione della Masseria San Pietro è contenuta nella Platea dei domenicani e conservata nell'Archivio di Stato di Brindisi.

Commenti

Anonimo ha detto…
Molto interessante è il disegno della mappa. Lungo il confine con la proprietà del Canonico Don Nicola Amati (attuale contrada Amati)il muro di cinta è lungo 450 passi e sono posizionate due specchie. Dall'angolo del Canonico Amati verso le proprietà della masseria Palazzo lungo il confine è segnata l'esistenza di una vora.
La masseria San Pietro, soggetta ai vincoli della soprintendenza, incide su un'area archeologica messapica di grande interesse. Inoltre, probabilmente era un villaggio medievale per la forma della chiesa, con arco a sesto acuto, come la chiesa di Sant'Anna e la chiesa della Madonna della Grotta, la chiesa dell'Annunziata.
Tra l'altro, intorno alla chiesa sono stati rinvenuti sepolcri cristiani.
don Gianfranco
smemorato ha detto…
In tema di masserie posto qui di seguito la scheda della: MASSERIA DIFESOLA

ORIGINE TOPONIMO
È improbabile che il nome Difesola derivi da un “La Difesa” con la posposizione dell’articolo “la”. Se così fosse sarebbe ipotizzabile che, in origine, volesse indicare una sorta di arroccamento.
Una tesi più convincente ci suggerisce un’assonanza fra il nome della contrada in cui sorge “oliva fasòla” ed il nome della masseria, pronunciato facendo cadere l’accento tonico sulla penultima sillaba: Difesola. Noi proprendiamo per la II ipotesi.

QUOTA ALTIMETRICA

DATI CASTATALI

DISTRIBUZIONE DELLA SUPERFICIE AZIENDALE
La masseria si estende per Ha 12,30 circa ed è interamente occupata da un grande uliveto.

DESTINAZIONE ORIGINARIA
Tra un’azienda agricola ad indirizzo zootecnico, l’economia della masseria si fondava principalmente sulla coltivazione dell’olivo. L’allevamento comprendeva 9/10 mucche da latte, 40 pecore, anch’esse utilizzate per la produzione del latte, per un breve periodo da 1 a 3 maiali e 20 galline.
Il latte sia vaccino che di pecora veniva utilizzato per la trasformazione in prodotti caesari, destinati per lo più alla vendita.
La coltivazione dell’oliveto, invece, rendeva un’abbondante quantità di olive da olio; mentre la paglia insispensabile al sostentamento degli animali, proveniva da un accordo del mezzadro con i contadini del vicinato. Questi ultimi, al momento della raccolta del grano portavano presso la masseria i covoni (li manucch’) per la trebbiatura, eseguita con la macchina trebbiatrice, pagata sia dai contadini che dal massaro. Il grano ricavato veniva suddiviso fra i vari contadini; la paglia, invece, rimaneva al massaro come riserva per l’annata e veniva riposta in grandi cumuli di forma conica (a met’) o pagliai, coperto poi con teloni, mancando questa azienda di fienile.

DESTINAZIONE ATTUALE
Attualmente la masseria è una residenza stagionale. Non vi è alcun allevamento, mentre sopravvive la coltivazione dell’olivo, da cui si ricava una copiosa produzione.

INDIRIZZI PRODUTTIVI
La produzione consiste esclusivamente nelle olive da olio ricavate dal vasto oliveto, presente in questa masseria.

CENNI STORICI
Originariamente non era una masseria. L’estensione attuale della superficie si è formata dall’accorpamento di più appezzamenti di terreno, appartenenti a diversi proprietari, a noi ignoti. La prime costruzioni, costituite dal forno, dal casolare, dalla cucina, da altre due stanze e da piccoli spazi riservati agli animali, sono sorte nella seconda metà dell’800, quando l’estensione era di proprietà di GIOVANNI LAGAMBA e di due sorelle nubili e senza figli. Successivamente fu ereditata dal figlio di Giovanni, il farmacista CARLO LAGAMBA, che agli inizi degli anni ’60 la affidò, con un contratto di mezzadria, a Manelli Antonio.
Risale a questi anni l’edificazione degli altri locali aggiunti a quelli preesistenti, come la stalla con l’annessa rimessa, la stanza da pranzo ed altri locali per il ricovero di animali. Manelli Antonio intrattenne il rapporto giuridico-economico fino al 1983, anno in cui nella gestione subentrò Manelli Giuseppe, figlio di Antonio, che acquistò la masseria con i terreni di pertinenza degli eredi Lagamba. Oggi è di proprietà degli eredi di MANELLI GIUSEPPE.

STATO DI CONSERVAZIONE


UBICAZIONE E DESCRIZIONE DEL COMPLESSO
La masseria DIFESOLA sita nell’omonima contrada, si trova, più precisamente, in via Capece. Si raggiunge passando dalla strada provinciale Ceglie-Francavilla e svoltando a sinistra dopo 4 km circa. Percorrendo la vicinale Votano Russo, ancora per un km e svoltando a sinistra sulla vicinale Difesola, dopo un centionaio di metri la vediamo sul lato sinistro, alla fine di un breve tratturo curvilineo.
Un piccolo cancello di ingresso immette in un ampio spazio, delimitato da vari edifici, disposti su due lati ad angolo retto e ricoperti con il bianco del latte di calce, tipico delle costruzioni locali.
A destra vi è una grande stalla con annessa una rimessa ed altri locali riservati all’abitazione del massaro. Di fronte al cancello di ingresso c’è la cucina sormontata da una piccola croce decorativa, il forno, il casolare ed i più antichi ricoveri per gli animali, utilizzati come stalla e pollaio fino alla costruzione degli edifici più recenti. Alle spalle sorge un ovile con due “suppenne”, affiancato, da un lato, da uno spazio aperto, un tempo utilizzato per il pascolo degli ovini, dall’altro, dall’accesso all’oliveto. Il resto dello spazio retrostante agli edifici descritti costituiva l’orto della masseria.
Le piccole costruzioni rurali a sinistra del piazzale, costituite da piccoli trulli e da un locale con una copertura precaria, erano destinate agli animali ed al ricovero dei attrezzi agricoli. In particolare, la piccolissima corte con trullo che si vede a sinistra, entrando dal cancello di ingresso, era utilizzata per l’allevamento dei pochi maiali che sono stati presenti in questa masseria.
All’interno dell’oliveto, in due zone distinte, vi sono due cisterne, una delle quali, ubicata nei pressi dell’antica aia, raccolgieva l’acqua piovana. Il convogliamento delle acque avveniva tramite una canalizzazione in terra battuta che, dal terreno posto più a monte, attraversava l’oliveto arrivando fino alla cisterna.

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