correre

E’ venerdì. Oggi il sole ha deciso di non vergognarsi e di farsi vedere almeno per qualche ora.
Ne approfitto e vado al Valentino (parco del) a camminare velocemente. Il Valentino ha un’estensione verticale, nel senso che è lungo e stretto perché affianca per chilometri e chilometri il corso del Po.
Il tempo è magnifico: caldo ma non troppo, ventilato ma non troppo, soleggiato ma non troppo.
Nell’aria il profumo caldo dell’erba tagliata mi fa pensare che, se il tempo regge, tra un paio di giorni i contadini dovrebbero iniziare il taglio del maggese. Quando ancora vivevo a Carrù e in questo periodo si iniziava a dormire con le finestre aperte, il profumo del fieno entrava prepotente nella stanza e conciliava il sonno. Ora che mi sono civilizzata lascio aperte le finestre sempre perché il riscaldamento centralizzato del mio condominio è troppo alto. Così posso respirare una dose massiccia di monossido di carbonio 365 giorni l’anno. E quando ci penso non è che mi senta ‘sto gran genio…

Il mio percorso inizia dai giardini di Italia 61: dal Palazzo a Vela escono frotte di uomini in giacca e cravatta e donne in tailleur. Probabili reduci di qualche interessante convention o meeting o come si chiama, stringono tutti un grosso sacchetto di carta arancione. Io un po’ rosico: chissà quali meravigliosi gadgets vi saranno mai contenuti! Il sacchetto arancione lo vorrei pure io…

Eccolo, il fiume. Dopo le piogge degli ultimi giorni, oggi l’acqua ha un colore strano. È come se il Po avesse travolto gli stabilimenti della Ferrero e si fosse portato via tutta la Nutella.
Ciò non toglie che oggi sia pieno di canoe. Come non seguire con lo sguardo questa che ha a prua un meraviglioso pastore tedesco, un Rin Tin Tin con le zampe ben ferme e lo sguardo puntato avanti, splendida polena in carne e ossa?

C’è stato un periodo in cui, quando venivo a camminare qui, mi portavo la musica. Ma poi ho scoperto la meraviglia dei suoni di questo parco e i frammenti di conversazione che si possono rubare. Per esempio, oggi, appena arrivata, ho ascoltato questo dialogo tra due amici:
Amico 1“… (pant pant pant suono onomatopeico che indica il fiatone)… io non parlo quando corro… (pant pant)”.
Amico 2 : “Ah, scusa. Perché sei concentrato?”
Amico 1: “(pant pant pant)… No… (pant pant)… perché non ce la faccio… (pant pant pant).

Un gruppetto di 8 o 9 persone mi supera, tutti mi girano intorno come se fossi una boa e riprendono a correre in direzione opposta. Immagino si siano detti “arriviamo fin dove c’è quella ragazza con i capelli rossi e poi torniamo indietro”. La cosa non mi infastidisce: una volta avevo un cappello stile anni 20 in testa e un mio amico ha detto “togliete di mezzo quel paracarro! Ah no… è Anna...!
Quindi sono abituata ad essere confusa con la segnaletica.
Quelli che invece mi danno proprio fastidio sono quelli che, correndo in branco e non volendo perdere la concentrazione, mi costringono a scartare di lato così che il ritmo lo perdo io e sono costretta a immergere le scarpe nel fango. Non ho niente contro il fango, ma mi urta che ci debba finire in mezzo perché qualche idiota che non vuole sfigurare con la fighetta del gruppo è troppo occupato a mantenere una traiettoria e una postura regolare per rendersi conto che sta per travolgermi.
Oggi, per la prima volta, ha fatto la sua comparsa anche un nuovo tipo di sportivo. La vedo procedere lesta accompagnandosi con quelli che mi sembrano due bastoncini da sci di fondo. Al Valentino non si era mai visto niente del genere, così quando arrivo a casa faccio una rapida ricerca su internet e scopro l’esistenza del nordic walking, appunto una specie di sci di fondo senza neve. Pazzesco! Guardo desolata le mie scarpe con delle prese d’aria che non avevano quando le ho comprate anni fa, ma che sono comode e non voglio buttare, i miei pantaloni da 10 euro e la mia maglietta con su scritto Make cow not war (dono di Stefania) e mi chiedo come tutto questo possa abbinarsi a cose come cardiofrequentimetri, misuratori satellitari e bastoncini in fibra di carbonio.
Non c’è speranza: non riuscirò mai ad essere fighissima e trendy. Non riuscirò mai a praticare il walking e per tutta la vita continuerò a camminare velocemente con delle scarpe bucate.

Il percorso comprende due punti di riferimento fondamentali: il Genna e il castello.
Il Genna è un ristorante su una specie di barcone ancorato vicino al ponte di corso Dante. Questo mi fa venire in mente che qualche settimana fa un amico straniero mi aveva chiesto indicazioni proprio su un ristorante su una barca sul Po dove intendeva portare la sua compagna per una cenetta romantica. Temeva fosse una trappola per turisti. Io gli avevo detto che non conoscevo niente del genere. E pensare che, quando vado a camminare velocemente, ci passo davanti sia all’andata che al ritorno. Questo è prova del fatto che nella mia testolina ci sono tonnellate di informazioni. Sono i collegamenti quelli che mi mancano. Comunque, la prossima volta che rivedrò il mio amico mi devo ricordare di dirgli che l’ambiente è grazioso, che non ho idea di come sia il cibo e che oggi le porte della cucina erano aperte e, onestamente, non ho cuore di consigliargli di mangiare lì.
Il castello del Valentino, invece, è una delle meravigliose dimore dei Savoia. Attualmente è sede della facoltà di architettura. Secondo me il ragionamento fatto da chi di dovere è stato: ficchiamoci dentro gli architetti in erba, così che questi giovani virgulti crescano circondati dalla beltà, dalle immaginifiche prove di vera arte. Così quando saranno grandi ci penseranno due volte prima di disegnare delle merde!

Sono ormai sulla via del ritorno quando da lontano vedo un tizio correre in direzione opposta alla mia. Si avvicina e riesco a mettere a fuoco i dettagli. Ha un viso simpatico, gli occhiali, una testa sulla quale i capelli sono solo una malinconia, un auricolare in un orecchio e un telefonino incollato all’altro. Quando mi passa vicino sento che dice al telefono “dobbiamo stabilire le modalità procedurali”. Sto per gridargli “Ciao Magni!”, ma guardandolo di spalle non vedo il quadrato rosso con la croce bianca e sono sicura che Magni non correrebbe mai all’estero senza la bandiera svizzera ricamata sui pantaloncini perché lui ha un forte senso di identità nazionale.

Il cielo sta tornando a coprirsi. Il sole deve essere di nuovo arrabbiato. Peccato, forse pioverà.
Ma l’ultimo incontro della giornata è con una giovane mamma che spinge un passeggino dove sta seduta una bimba di pochi mesi, con gli occhioni blu e una cuffietta rosa sulla testa. Sorride beata perché la mamma le ha raccolto una margherita che ora stringe tra le manine.
E credetemi: è davvero molto ma molto improbabile che qualsiasi altra cosa possa avere la stessa importanza.

Milady

Commenti

Post popolari in questo blog

ai posteri

l'eclisse della democrazia

qualcosa di sinistra