Bruce Springsteen a San Siro
Il prossimo 25 giugno Bruce Springsteen suonerà a Milano, allo stadio San Siro, tappa italiana del tour legato al suo ultimo disco (Magic – 2007).
Può sembrare il promemoria per il concerto dell’ennesimo cantante americano che decide di inserire lo stadio milanese nella scaletta del suo tour. Ma se si ha il tempo di dedicare anche solo una mezz’ora ai tanti siti e blog che riempiono la rete, si scopre che, forse, non è solo questo.
Il ragazzo che cantava la sua rabbia contro un ambiente mediocre che gli stava stretto e dal quale, con caparbia e feroce illusione giovanile, sognava di fuggire con i suoi Amici e il Grande Amore, è diventato grande. A vederlo sul palco, con a fianco la moglie e i gli stessi musicisti di 40 anni fa, sembra proprio che ce l’abbia fatta a mantenere la sua coerenza.
Eccola lì, l’amicizia. Si chiama E Street Band: dopo 40 anni gli stessi nomi, le stesse facce. Manca Danny Federici, il tastierista con le grandi orecchie e le mani magiche, morto recentemente di cancro. Lo sostituisce Charles Giordano, unica conferma del nutrito schieramento di musicisti che accompagnarono Springsteen nel 2006 quando, scandalizzando i più puristi tra i suoi fans, pubblicò un album (We shall overcome – The Seeger sessions) che era insieme un regalo a se stesso e un omaggio alla folklore americano dal quale ha sempre attinto a piene mani.
Alcuni fans non glielo perdonarono: non sapendo se considerarlo uno scherzo o la clamorosa ammissione di non avere un album inedito pronto, preferirono snobbarlo. Bruce nasce rock e a detta di molti deve rimanerlo. E anche se The Seeger sessions era divertente e gradevole, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo nell’ascoltare Magic: Bruce è rientrato nei ranghi e l’attesa del concerto di giugno si accompagna alla sicurezza che non si avranno bizzarre sorprese. Si torna ai fondamentali: Springsteen, l’E Street Band, un palco. Di più: il palco di San Siro.
Ci sono tutti i presupposti perché ne venga fuori qualcosa di eccezionale.
Nella carriera di ogni fan di qualunque artista esiste un momento particolare, un attimo di intensità emozionale così forte che diventa termine di paragone per qualsiasi altro episodio.
Spesso è l’incontro con l’artista in questione, altre volte è l’essere stati presenti all’unica esecuzione live in una certa canzone; meglio ancora se si aveva a fianco l’amore della vita.
Per tantissimi fans italiani questo momento si chiama San Siro.
Era il 1985 quando Springsteen vi suonò per la prima volta, per quello che fu anche il suo primo concerto italiano in assoluto. Erano i tempi del tour di Born in the Usa: la fama di Springsteen era appena esplosa a livello mondiale con un album che rispettava pienamente i previsti canoni rock dell’epoca: era divertente, trascinante, semplice ma musicalmente travolgente.
Fu un trionfo: il pubblico italiano si innamorò in massa di quell’ometto scatenato che sembrava avere in corpo quantità impressionanti di adrenalina.
Si dice spesso che Springsteen abbia un legame particolare con i fans italiani. Forse le origini italiane della madre contribuiscono a farci svettare ai vertici nella graduatoria delle sue preferenze.
Ma è molto più probabile che la motivazione sia ancora più semplice. Bruce è un artista sanguigno, carnale, generoso sul palco come pochi sanno esserlo. Pronto a rispondere alle sollecitazioni del pubblico. E non si può certo dire che il pubblico italiano manchi di entusiasmo.
Giugno 2003: Springsteen tornò a suonare a San Siro per la seconda volta. Usando un eufemismo si potrebbe dire che quella sera piovve. In realtà quello che scoppiò fu uno straordinario temporale estivo, un nubifragio in pienissima regola.
Poteva essere solo questo: un bel concerto rovinato dalla pioggia. Ma poi Springsteen, che quella sera era in grande forma, fece qualcosa di molto semplice, perfino infantile: lasciò la zona coperta del palco e scese verso il prato, sotto l’acqua. E il pubblico fu colpito dal vero ciclone: quello che dal centro del palco investì con forza devastante migliaia di persone. Fu travolgente, quella sera, il rocker americano: più cresceva l’intensità del temporale più sembrava aumentare la sua carica. Non fu un concerto rovinato dalla pioggia: fu un evento memorabile. Bisognerebbe riuscire a immaginarselo, San Siro. Immaginare le braccia di 60.000 persone alzate verso il cielo a formare un muro compatto e ondeggiante, l’immenso catino dello stadio illuminato di luce bianca, il coro di decine di migliaia di persone unite in un’unica voce.
Bisognerebbe riuscire a immaginarlo. Oppure esserci stati.
Oppure, ancora meglio, andare a dare un’occhiata a quello che succederà a San Siro il prossimo 25 giugno. Giusto per scoprire se aveva ragione quel tizio che diceva che “il mondo si divide in due: chi ama Bruce Springsteen e chi non lo ha mai visto dal vivo”.
Può sembrare il promemoria per il concerto dell’ennesimo cantante americano che decide di inserire lo stadio milanese nella scaletta del suo tour. Ma se si ha il tempo di dedicare anche solo una mezz’ora ai tanti siti e blog che riempiono la rete, si scopre che, forse, non è solo questo.
Il ragazzo che cantava la sua rabbia contro un ambiente mediocre che gli stava stretto e dal quale, con caparbia e feroce illusione giovanile, sognava di fuggire con i suoi Amici e il Grande Amore, è diventato grande. A vederlo sul palco, con a fianco la moglie e i gli stessi musicisti di 40 anni fa, sembra proprio che ce l’abbia fatta a mantenere la sua coerenza.
Eccola lì, l’amicizia. Si chiama E Street Band: dopo 40 anni gli stessi nomi, le stesse facce. Manca Danny Federici, il tastierista con le grandi orecchie e le mani magiche, morto recentemente di cancro. Lo sostituisce Charles Giordano, unica conferma del nutrito schieramento di musicisti che accompagnarono Springsteen nel 2006 quando, scandalizzando i più puristi tra i suoi fans, pubblicò un album (We shall overcome – The Seeger sessions) che era insieme un regalo a se stesso e un omaggio alla folklore americano dal quale ha sempre attinto a piene mani.
Alcuni fans non glielo perdonarono: non sapendo se considerarlo uno scherzo o la clamorosa ammissione di non avere un album inedito pronto, preferirono snobbarlo. Bruce nasce rock e a detta di molti deve rimanerlo. E anche se The Seeger sessions era divertente e gradevole, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo nell’ascoltare Magic: Bruce è rientrato nei ranghi e l’attesa del concerto di giugno si accompagna alla sicurezza che non si avranno bizzarre sorprese. Si torna ai fondamentali: Springsteen, l’E Street Band, un palco. Di più: il palco di San Siro.
Ci sono tutti i presupposti perché ne venga fuori qualcosa di eccezionale.
Nella carriera di ogni fan di qualunque artista esiste un momento particolare, un attimo di intensità emozionale così forte che diventa termine di paragone per qualsiasi altro episodio.
Spesso è l’incontro con l’artista in questione, altre volte è l’essere stati presenti all’unica esecuzione live in una certa canzone; meglio ancora se si aveva a fianco l’amore della vita.
Per tantissimi fans italiani questo momento si chiama San Siro.
Era il 1985 quando Springsteen vi suonò per la prima volta, per quello che fu anche il suo primo concerto italiano in assoluto. Erano i tempi del tour di Born in the Usa: la fama di Springsteen era appena esplosa a livello mondiale con un album che rispettava pienamente i previsti canoni rock dell’epoca: era divertente, trascinante, semplice ma musicalmente travolgente.
Fu un trionfo: il pubblico italiano si innamorò in massa di quell’ometto scatenato che sembrava avere in corpo quantità impressionanti di adrenalina.
Si dice spesso che Springsteen abbia un legame particolare con i fans italiani. Forse le origini italiane della madre contribuiscono a farci svettare ai vertici nella graduatoria delle sue preferenze.
Ma è molto più probabile che la motivazione sia ancora più semplice. Bruce è un artista sanguigno, carnale, generoso sul palco come pochi sanno esserlo. Pronto a rispondere alle sollecitazioni del pubblico. E non si può certo dire che il pubblico italiano manchi di entusiasmo.
Giugno 2003: Springsteen tornò a suonare a San Siro per la seconda volta. Usando un eufemismo si potrebbe dire che quella sera piovve. In realtà quello che scoppiò fu uno straordinario temporale estivo, un nubifragio in pienissima regola.
Poteva essere solo questo: un bel concerto rovinato dalla pioggia. Ma poi Springsteen, che quella sera era in grande forma, fece qualcosa di molto semplice, perfino infantile: lasciò la zona coperta del palco e scese verso il prato, sotto l’acqua. E il pubblico fu colpito dal vero ciclone: quello che dal centro del palco investì con forza devastante migliaia di persone. Fu travolgente, quella sera, il rocker americano: più cresceva l’intensità del temporale più sembrava aumentare la sua carica. Non fu un concerto rovinato dalla pioggia: fu un evento memorabile. Bisognerebbe riuscire a immaginarselo, San Siro. Immaginare le braccia di 60.000 persone alzate verso il cielo a formare un muro compatto e ondeggiante, l’immenso catino dello stadio illuminato di luce bianca, il coro di decine di migliaia di persone unite in un’unica voce.
Bisognerebbe riuscire a immaginarlo. Oppure esserci stati.
Oppure, ancora meglio, andare a dare un’occhiata a quello che succederà a San Siro il prossimo 25 giugno. Giusto per scoprire se aveva ragione quel tizio che diceva che “il mondo si divide in due: chi ama Bruce Springsteen e chi non lo ha mai visto dal vivo”.
Milady
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