Pietro Annicchiarico - un sogno lungo un corto



Un sogno lungo un corto

Cortometraggio realizzato nell'ambito del laboratorio cinematografico "Dal soggetto allo schermo" condotto da Pietro Annicchiarico all'interno del progetto "Racconti di vita" promosso dall'Amministrazione Provinciale di Taranto/Assessorato alle Politiche Giovanili in collaborazione con il C.R.E.S.T. tenutosi a Taranto dal 7 al 18 Giugno 2005 presso il Liceo Musicale Paisiello.

Scritto e diretto da Pietro Annicchiarico

Riprese e montaggio di Giovanni Blasi

recensione:

UN SOGNO LUNGO QUANTO UN CORTO

Annotazioni impreparate
di Ignazia Di Liberto

Perché evocare Chagall all'inizio di un sogno-corto?
E' una chiave che apre un mondo dove donne volteggiano in aria appena un poco sorrette da uomini sorridenti?
E' "l'anima belante" che invoca dal Pastore la visionaria "coppia-madre" che ogni bimbo-ragazzo di questo mondo agogna per sé?
E' il cercatore d'oro, il regista del pennello che tenta un fermo immagine del"Convito" ideale della vita?
La nostra mensa non è più "convito" e non è mai stata "Cenacolo". Siamo un po' tutti come ragazzi a un bancone, forse a chiedere un latte macchiato - sempre macchiato! - a una barista che non si mescola mai a noi e ci dà da bere e mangiare sbrigativamente, con la consueta indifferenza. Per poi rincorrerci perfidamente se osiamo rubare un accendino che ci faccia luce nella fuga verso il sogno. Ma quanto è fiacca allora la sua corsa! E quanto veloce il nostro scatto! E il sogno, col suo simbolismo inconscio, con le sue adorazioni e feticismi, ci mostra una tavola apparecchiata, dove non siamo più avventori, sospinti dalla ventura, in cerca disperata di avventura, ma commensali ad una mensa leonardescamente ripresa dal sognatore, un Cenacolo laico e divertito, a tratti irriverente, se un piede con calzino ne cerca e accarezza uno fasciato di calza, se il sognatore la percorre come un tunnel, scoprendo i suoi protagonisti e i loro desideri non dai visi ma dai piedi.
I piedi possono essere più nudi e sinceri dei visi, possono comunicare meglio di ogni altra parte del corpo con la realtà, perché sono piantati per terra, possono dirci, con il loro scorrere ossessivo come un bisogno, come innumeri passi incompiuti del viaggiatore, quanto cammino ancora ci separi da una mensa di veri amici, dove il pasto è una gioia pensosa, responsabile, festosa.
Tanto lontani, se un regista coraggioso e inconsueto tenta di svegliarci e carpire il sogno per svelarcelo sul quadro scorrevole dei fotogrammi, se siamo costretti a cedere il nostro accendino all'uomo oltre la rete del sogno, chiedendoci se sarà in grado di capire.
E il linguaggio di un corto lungo quanto un sogno non può che essere ermetico, misterioso, allucinato come i sogni, e le immagini, i suoni, i rumori in rottura polemica con la logica diurna.
E gli interpreti?
Gli uomini, le donne, i ragazzi del nostro quotidiano, assurti a bravi attori delle speranze oniriche affidate alla notte.


info:
p_annicchiarico@hotmail.com
http://groups.msn.com/tarantismo
tarantismo@groups.msn.com

Commenti

Anonimo ha detto…
che bella sorpresa! il video nel tuo blog, la rilettura a tre anni di distanza della recensione di Ignazia... proprio una bella cosa. grazie di cuore da parte di un "sognatore"
pietro
smemorato ha detto…
Lo sai che quel corto fa parte della mia vita ormai. Come stai?
smemorato ha detto…
Educazione all’immagine. Linguaggi espressivi psicomotori.
di Giacomo Nigro

Grazie alla cortesia dell’educatore ed autore cinematografico Pietro Annicchiarico ho visionato il filmato reportage sul lavoro multimediale e multidisciplinare e di educazione all’immagine, al suono ed alla consapevolezza che egli insieme ad altri ha condotto, l’anno scorso, unitamente ai bambini di III elementare nella loro scuola bolognese; i bambini hanno la stessa età di Riccardo, mio figlio, che ha frequentato proprio la III elementare durante l'anno scolastico 2004/2005.

E’ importante, per un padre sapere, che i bambini che frequentano le scuole pubbliche vengono messi in condizioni di esprimere la loro "psicomotricità". Riccardo ha avuto questa possibilità in passato e Giulia, sua sorella, che quest'anno frequenta la prima elementare parteciperà anche lei a questo tipo di libera espressione di se. Naturalmente nel caso in esame si è trattato di un lavoro più complesso e strutturato, legato anche all'educazione all'immagine ed al suono. Non nascondo che aver avuto la possibilità di conoscere in video, l’autore, dopo una oramai pluriennale corrispondenza via web, mi ha fatto piacere dal punto di vista umano ed è stato utilissimo per comprendere che, il suo impegno nell'educare spazia nelle generazioni e nei mezzi espressivi, con immutata capacità di coinvolgimento. Ho potuto visionare, tutto il filmato riassuntivo del lavoro svolto durante l’anno passato, insieme alla mia famiglia al completo. Mia moglie Lucia, Riccardo e Giulia hanno apprezzato molto l’impegno dei bambini sul concetto di tempo e storia, bellissime le immagini in cui i bambini mimano il loro nuotare nel liquido amniotico dell’età prenatale. Si sono divertiti molto a seguire la costruzione di un “concerto” con gli strumenti più semplici avendo così un’idea di come la conoscenza primigenia abbia, la stessa immutata progressività nel tempo, dalle epoche più remote della civiltà umana ad oggi.

Riccardo è rimasto colpito dall'immagine dell'interno del computer simile in tutto a una città illuminata di notte e, vista dall'alto, come da un'aereo: un esempio di “effetti speciali” semplice e accattivante. Sono felice, come padre, di aver trovato, nei filmati, corrispondenza intorno ai sentimenti che provo giornalmente a contatto con i miei figli ed i bambini della loro età; tali sentimenti sono inesorabilmente sottoposti ad uno snaturamento a causa della nostra schematicità educativa. In tal senso la splendida canzone di Giorgio Gaber "non insegnate ai bambini" contenuta nell'ultimo suo disco ci fornisce la chiave d’interpretazione di questo basilare conflitto generazionale.

Ora faccio, insieme a Pietro ed al lettore, un salto dall’infanzia alle successive fasi della crescita tutte rappresentate dal lavoro che egli ha svolto durante l’estate scorsa a Taranto. Ha realizzato un progetto che ha coperto lo spazio-tempo dal soggetto allo schermo.

“Il laboratorio avrà l’obiettivo di creare, insieme agli allievi, una sorta di video documentario di cui gli stessi allievi saranno autori, produttori e attori. Saranno quindi affrontati: il soggetto e la sceneggiatura, pratiche di ripresa audio e video con videocamere digitali, riprese di esterni e di interni, pratica di editing digitale e uso di un software di montaggio, montaggio. Durata: 30 ore complessive.” Questo era il programma di un corso di educazione all’immagine: “per/corsi di formazione alle pratiche del cinema”. Il progetto rivolto ai giovani, e non solo, a quanti coltivano già interesse per i linguaggi espressivi, ma anche a coloro che desiderano accostarsi per conoscere un ambito artistico in particolare. Un progetto per conoscere altre persone con cui condividere interessi e curiosità, enzimi di crescita di bisogni e desideri giovani della nostra provincia (Taranto). Il risultato è “Un sogno lungo un corto” corto realizzato nell'ambito del laboratorio cinematografico "Dal soggetto allo schermo" condotto da Pietro Annicchiarico all'interno del progetto "Racconti di vita" promosso dall'Amministrazione Provinciale di Taranto/Assessorato alle Politiche Giovanili in collaborazione con il C.R.E.S.T. tenutosi a Taranto dal 7 al 18 Giugno 2005 presso il Liceo Musicale Paisiello. Scritto e diretto da Pietro Annicchiarico con riprese e montaggio di Giovanni Blasi.

Esaminiamo ora la realizzazione. I partecipanti al laboratorio cinematografico sono intenti da giorni a discutere le varie ipotesi di soggetto per il corto che vorrebbero creare. Ognuno tra i partecipanti ha in mente la sua visione di soggetto e del suo tema: l'ipocrisia, tema proposto da una partecipante; le nevrosi dei tempi moderni; il tema dell'infanzia, specie quella perduta e non più rintracciabile nelle visioni degli adulti.

Un soggetto con una storia semplice che si può così sintetizzare. Si tratta del sogno d’un ragazzo poco più che adolescente: egli ruba, dal bancone del bar-tabacchi dove sta consumando un cappuccino, un accendino lasciato abbandonato insieme ad un pacchetto di sigarette. Dopo aver afferrato felinamente l’oggetto scappa in strada inseguito con poca convinzione dalla tabaccaia- barista. Il ragazzo dopo aver fatto perdere le tracce all’inseguitrice, si rifugia, spaventato e confuso, dietro la grata di un pianoterra, quasi una prigione ma in realtà la porta d'ingresso della scuola che ospita il laboratorio. All'interno della sala il gruppo sta assistendo a una proiezione, un documentario su C. G. Jung. Il ragazzo sospeso in quella situazione al limite, sulla soglia, tra il dentro e il fuori, ascolta la conversazione proveniente dal gruppo. Egli fantastica sui soggetti altrui, vede quel che può vedere, dei discorsi prende quello che più lo colpisce. Restituisce dunque le immagini nelle forme infantili della sua sensibilità: durante la citazione del cenacolo leonardesco, lui si immaginerà nel posto in cui solitamente albergano i semplici: sotto il tavolo. Sarà circondato da ventiquattro piedi ma sarà bruscamente richiamato alla realtà, dal custode. Quest'ultimo gli chiederà in dialetto stretto e sottovoce, il motivo per cui è là nascosto dietro la tenda. Il giovane non risponde, è muto, ma gli dona il suo maggiore bene facendolo passare attraverso la grata di ferro: l'accendino. Il custode con la sigaretta spenta in bocca, accetta l'offerta, visto che ritrova al momento giusto il suo accendino e lo fa restare lì, come uditore.

La frase, pronunciata dal fumatore: "ce ste fasce hddà" (cosa fai li) suona al ragazzo come un’oscura minaccia. Egli in realtà si ritrova in mezzo al gruppo perchè di lì non si è mai mosso. Tutto il filmato verte sulla sua immaginazione, sul suo sogno di scrivere una sceneggiatura. Infatti alla fine lui spiega la sua idea al coordinatore. I partecipanti al corso insieme a lui svelano “i loro desideri non dai visi ma dai piedi. I piedi possono essere più nudi e sinceri dei visi, possono comunicare meglio di ogni altra parte del corpo con la realtà, perché sono piantati per terra, possono dirci, con il loro scorrere ossessivo come un bisogno, come innumeri passi incompiuti del viaggiatore quanto cammino ancora ci separi da una mensa di veri amici, dove il pasto è una gioia pensosa, responsabile, festosa.” (dalla recensione di Ignazia Di Liberto che definisce queste sue parole “annotazioni impreparate”).

A questa semplice storia il montaggio rapido e secco ha conferito una drammaticità esemplare e le citazioni pittoriche di Leonardo e la sua “ultima cena” rimandano all’idea conviviale che ogni assemblea umana contiene in se. Anche un corso di educazione cinematografica è un convivio, uno scambio quasi carnale di idee ed esperienze. “Gli uomini, le donne, i ragazzi del nostro quotidiano, assurti a bravi attori delle speranze oniriche affidate alla notte” ci insegnano la brevità di un’emozione forte. “Il gruppo di 12 persone che riscopre, nella sua identità meridionale cattolica, la simbologia dei 12 apostoli e dell'ultima cena; la soglia della visione, della finzione e della rappresentazione. Perchè il gruppo individua nella situazione della cena, non solo quella sacra (altro rituale importante della cultura italiana e meridionale), un momento di finzione sociale, di mascheramento dell'identità e una delle intuizioni riuscite del corto è la resa di questa idea: la cena leonardesca ricostruita dal gruppo è vista sfocata, proprio a esprimere una identità sofferta. Ma nel bar dove il ragazzo ruba l'accendino c'è un'ultima cena tutta cinematografica, rifatta con Totò, Peppino, De Sica, Sophia Loren, Troisi, apostoli di un cinema italiano e sudista. E la figura del piccolo ladro (primo dei diversi omaggi a Truffaut) scappando si rifugia in una stretta soglia: cornea, diaframma, camera oscura, fra la grata, quasi carceraria, che difende la scuola di musica dove il gruppo lavora, e il telo nero che filtra la luce esterna per permettere proiezioni e riprese a luce artificiale. Da questo ultimo orizzonte il piccolo ladro, a questo punto funzione stessa di noi spettatori cinematografici, cerca di non fare escludere il suo sguardo e spia il lavoro di un gruppo che sta preparando un cortometraggio, che parla di un ragazzo che ruba un accendino e si rifugia in una stretta soglia (e via eternamente ripetendo le stesse cose). O rifrangendo le stesse immagini: il ragazzo spia da un diaframma il visore di una telecamera che sta riprendendo un laboratorio cinematografico che sta concependo un film che è quello che lo sta riprendendo mentre spia. Un continuo rimbalzare colto di simboli, di metafore e di citazioni si addensa intorno a questo meta-racconto, ma non scade mai nello snobismo intellettuale e tutto ha grande naturalezza e sembra il frutto di fortunate coincidenze; anzi lo arricchisce di struggenti nostalgie: ancora Truffaut, e la sua ultima (s)cena di piedi in Vivement dimanche, ma anche Carmelo Bene, che vola su questo filmato fortemente radicato nella sua terra d'origine, come le figure di Chagall in apertura e ispira sacre contaminazioni.” Questa l’opinione di Gianni Cascone (GRAFIO). Concludo con le parole che Pietro Annicchiarico a pronunciato in un'intervista rilasciata a un giornale di Grottaglie "Via Crispi" del mese di ottobre: “E' stata una vera e unica occasione per tutti: ne hanno beneficiato sia i docenti che i corsisti. Ma anche le persone comuni che semplicemente hanno aperto le porte all'esperienza cinematografica. Custodi e musicisti della scuola di musica che ci ospitava, baristi e esercenti, hanno contribuito alla buona riuscita di un cortometraggio, che ha già varcato la soglia della provincia e si sta facendo strada tra gli altri prodotti audiovisivi a livello nazionale. E' la dimostrazione lampante che anche con pochi mezzi (il corto è stato prodotto interamente da me), ma con molta passione, si possono realizzare film di discreta levatura. Dipende dalle "fortuite coincidenze" e dagli ingredienti, nonchè dal loro dosaggio. Stupisce che di queste occasioni ce ne siano veramente poche nel nostro territorio. Peccato, perchè fare investimenti culturali per il futuro dei nostri giovani (e non solo), potrebbe rappresentare un ottimo antidoto alla stupidità, alla volgarità e alla violenza dilagante."
Anonimo ha detto…
caro arguto, la tua è la recensione più completa che UN SOGNO LUNGO UN CORTO ha avuto finora. Questo post farà parte del mio curriculum vitae e lo dedico alla creatura che sta per nascere, di cui io sarei l'orgoglioso papà!
un saluto affettuoso
pietro
smemorato ha detto…
Carissimo Pietro, di questo mio scritto ero già abbastanza orgoglioso prima delle tue graditissime parole che sono una delle più belle "medaglie" che la mia modesta arte scrittoria ha ricevuto sinora. Ricevo con enorme piacere la notizia della tua prossima paternità, a tal proposito ti prego si tenermi al corrente dell'evento via mail privata, in cui non mancherai di indicare il tuo attuale domicilio. Quando sarai papà godrai con intensità tutte le gioie che con il tuo lavoro a contatto con i piccoli delle scuole hai già assaporato. L'amore per la propria creatura travalica tutto il resto, me lo saprai dire al momento giusto. Prepara la macchina da ripresa e fai il più bel corto della tua vita. Con ammirazione ed affetto dal modesto ma arguto ignorante Giacomo Nigro.

P.S.: estendo quanto detto a te alla mamma della tua creatura.

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