I vicerè
Ieri sera e domencica sera abbiamo potuto visionare su RaiUno le due puntate della fiction "I Vicerè", per la regia di Roberto Faenza, un film ispirato al romanzo di fine '800 di Federico De Roberto che ci ha descritto un mondo di fasto, di splendore, ma anche di prepotenza e di miseria. Attraverso gli occhi di un ragazzino, Consalvo, l'ultimo erede degli Uzeda, si svelano i misteri, gli intrighi, le complesse personalità degli appartenenti alla famiglia, tutti dominati da grandi ossessioni e passioni.
La storia di Consalvo è un percorso di formazione: dopo una sconcertante esperienza in un convento benedettino, si affaccia a una giovinezza scapestrata, da ribelle, simile nello spirito a quella di tanti giovani d'oggi. Presto, comprende di dover cambiare, di dover diventare uomo. Comincia a studiare, a viaggiare, a imparare. Contro il volere del padre, compie una scelta estrema. Il tragitto di Consalvo ha una forte attinenza con il nostro presente. Dal mondo che lo
circonda, fatto di compromessi e corruzione, Consalvo coglie una profonda lezione di vita e alla fine sceglie di impossessarsi del potere per non lasciarsi sopraffare da quello stesso mondo.
Sembra la biografia di Veltroni: una scalata al Potere di un giovane ambizioso, il discorso al popolo in chiusura della campagna elettorale da parte di Consalvo era omnicomprensivo (da Garibaldi alla Chiesa, dalla rivoluzione alla monarchia, dalla dittatura alla democrazia) più o meno come il PD (nelle intenzioni di Veltroni).
Grandi le interpretazioni di Lando Buzzanca e Lucia Bosè che giganteggiano in mezzo a tutti i giovani ed i meno giovani attori del film.
Con il grande romanzo I Viceré (Milano, 1894) De Roberto realizzò compiutamente un suo mondo poetico: l'aristocrazia siciliana, orgogliosa, gelosa dei suoi privilegi, assetata di denaro e di potere, chiusa in cupi egoismi e in sfrenate passioni, descritta con un acre gusto ironico, che giunge nei momenti più felici a un realismo epico, grandioso e crudo, non privo di inflessioni grottesche, nel quale, tuttavia, è sempre presente l'altra faccia della compiacenza sottile per le malattie dell'anima e del corpo e per la morte. L'intenzione verghiana (De Roberto fu un verista come Verga), di costruire un ciclo di romanzi che avrebbe dovuto rappresentare la vita dell’uomo nelle diverse condizioni sociali, rimase interrotta prima di giungere alla rappresentazione della società aristocratica, fu attuata nel romanzo di De Roberto che segnò uno degli esiti più alti della narrativa italiana fra Ottocento e Novecento.La continuazione dei Viceré, contenuta nell'altro ampio romanzo L'imperio (postumo, Milano, 1928) riescì meno persuasiva: le vicende di don Consalvo Uzeda, che eletto reputato, approfittando del fascino del suo nome e della sua ricchezza, riesce a conquistare un posto preminente nella vita politica italiana e a diventare ministro, si svolge sullo sfondo di una Roma postrisorgimentale (siamo nel periodo del governo di Crispi), chiusa in una trama sconfortante di azioni vili, piccole, irritanti, compiute da uomini meschini e insinceri, tesi soltanto al proprio interesse, privi di passioni e di ideali. E se lo spunto satirico
riaffiora a tratti in vivaci quadri della vita parlamentare e giornalistica e della società romana, il tono di fondo é scorato, amaro, sempre più disperato parallelamente col trionfo degli opportunisti e dei profittatori e con la rovina dei pochi spiriti sinceri e onesti: e ne deriva una visione disincantata, desolata dell’Italia seguita alle passioni e alle illusioni del Risorgimento, umiliata in una grama esistenza senza luci e senza gloria.
La storia di Consalvo è un percorso di formazione: dopo una sconcertante esperienza in un convento benedettino, si affaccia a una giovinezza scapestrata, da ribelle, simile nello spirito a quella di tanti giovani d'oggi. Presto, comprende di dover cambiare, di dover diventare uomo. Comincia a studiare, a viaggiare, a imparare. Contro il volere del padre, compie una scelta estrema. Il tragitto di Consalvo ha una forte attinenza con il nostro presente. Dal mondo che lo
circonda, fatto di compromessi e corruzione, Consalvo coglie una profonda lezione di vita e alla fine sceglie di impossessarsi del potere per non lasciarsi sopraffare da quello stesso mondo.
Sembra la biografia di Veltroni: una scalata al Potere di un giovane ambizioso, il discorso al popolo in chiusura della campagna elettorale da parte di Consalvo era omnicomprensivo (da Garibaldi alla Chiesa, dalla rivoluzione alla monarchia, dalla dittatura alla democrazia) più o meno come il PD (nelle intenzioni di Veltroni).
Grandi le interpretazioni di Lando Buzzanca e Lucia Bosè che giganteggiano in mezzo a tutti i giovani ed i meno giovani attori del film.
Con il grande romanzo I Viceré (Milano, 1894) De Roberto realizzò compiutamente un suo mondo poetico: l'aristocrazia siciliana, orgogliosa, gelosa dei suoi privilegi, assetata di denaro e di potere, chiusa in cupi egoismi e in sfrenate passioni, descritta con un acre gusto ironico, che giunge nei momenti più felici a un realismo epico, grandioso e crudo, non privo di inflessioni grottesche, nel quale, tuttavia, è sempre presente l'altra faccia della compiacenza sottile per le malattie dell'anima e del corpo e per la morte. L'intenzione verghiana (De Roberto fu un verista come Verga), di costruire un ciclo di romanzi che avrebbe dovuto rappresentare la vita dell’uomo nelle diverse condizioni sociali, rimase interrotta prima di giungere alla rappresentazione della società aristocratica, fu attuata nel romanzo di De Roberto che segnò uno degli esiti più alti della narrativa italiana fra Ottocento e Novecento.La continuazione dei Viceré, contenuta nell'altro ampio romanzo L'imperio (postumo, Milano, 1928) riescì meno persuasiva: le vicende di don Consalvo Uzeda, che eletto reputato, approfittando del fascino del suo nome e della sua ricchezza, riesce a conquistare un posto preminente nella vita politica italiana e a diventare ministro, si svolge sullo sfondo di una Roma postrisorgimentale (siamo nel periodo del governo di Crispi), chiusa in una trama sconfortante di azioni vili, piccole, irritanti, compiute da uomini meschini e insinceri, tesi soltanto al proprio interesse, privi di passioni e di ideali. E se lo spunto satirico
riaffiora a tratti in vivaci quadri della vita parlamentare e giornalistica e della società romana, il tono di fondo é scorato, amaro, sempre più disperato parallelamente col trionfo degli opportunisti e dei profittatori e con la rovina dei pochi spiriti sinceri e onesti: e ne deriva una visione disincantata, desolata dell’Italia seguita alle passioni e alle illusioni del Risorgimento, umiliata in una grama esistenza senza luci e senza gloria.
Commenti
credo che un partito che si basi sulla democrazia bisogna inventarlo.
Un esempio di democrazia:
quando facevo il metalmeccanico, mi capitò di essere eletto come delegato di reparto nel C.d.F.(Consiglio di Fabbrica). Ti ricordo che in tutti i posti di lavoro oltre all'Organizzazione Sindacale erano radicati anche i partiti più vicini ai lavoratori, che vi tenevano proprie "cellule" organizzate (un poco come gli attuali "governo ombra"). Non ti sembrerà vero ma gli organismi più sostanzialmente democratici erano i C.d.F. con i loro componenti. Questi erano eletti dalla base con scrutinio segreto su liste assolutamente aperte in quanto tutti i lavoratori dello stesso reparto erano eleggibili. Le linee di condotta da seguire erano concordate con i compagni di lavoro nelle assemblee, che si tenevano per decidere dopo abbondante dibattito sui problemi che ci riguardavano. I delegati che non seguivano tali linee erano subito sostituiti. Eleggere un nuovo delegato era cosa abbastanza semplice e ti assicuro che ogni unità lavorativa aveva in fabbrica un peso sul governo del sindacato che non ho più riscontrato nel resto della mia vita. Io la democrazia la vedo così: altro che il bipolarismo tra i furbi ed i loro compari, altro che l'alternanza tra ladri e ladroni, altro che stabilità del governo dei ricchi con qualsiasi clima. Democrazia è anche permettere al popolo di cambiare gli impiegati infedeli "subito" e "qui". Democrazia chiede che chi ruba ai propri elettori venga severamente punito e messo in condizione di non nuocere più. La mia democrazia non prevede la "professione" del politico, cioè non ammette che uno che è stato trombato in un partito si ricicli in un altro e poi un altro e poi in un altro ancora per essere poi eletto a qualche presidenza dal furbacchione. Lui è furbo, ma noi siamo proprio scemi!
Se non trovi rape genuine conviene che te le coltivi da solo.
Pietro Santo