Fabrizio De André

Andrea s'è perso, s'è perso e non sa tornare: queste, sono le parole che ho istintivamente più amato, delle canzoni di Fabrizio De André. Solo in un secondo tempo ho inconsciamente, ma anche intellettivamente capito che non è negativo, per Andrea, il non saper tornare/ritornare. Andare e ritornare è l'ossessione della civiltà occidentale, ci sono culture altre che adottano lo spostamento nello spazio come una scelta di vita: il nomadismo come filosofia dell'essere.

L’11 gennaio del 2009 ricorrerà il decennale della scomparsa di Fabrizio De André, per ricordarlo, il cantautore veronese Massimo Bubola pubbliccherà domani 5 dicembre Dall’altra parte del vento, una raccolta di 14 brani scritti dal1977 al 1990 con De André – da Rimini a Don Raffaé – riarrangiati e reinterpretati. Egli ricorda: come ha incontrato De André? Io ero un ragazzo promettente e il produttore Roberto Dané aveva organizzato l’appuntamento nella sede della casa discografica a Milano, in uno stanzino al decimo piano. Dopo venti minuti di silenzio, per rompere il ghiaccio abbiamo cominciato a parlare di calcio. Poi ci siamo persi di vista, fino a quando una mattina mio padre mi dice: “Alle 4 ha telefonato uno che ti cercava. Si è spacciato per De André”. Invece era proprio lui. Da lì è nato il nostro rapporto di scambio reciproco intellettuale, emotivo, anche fisico, perché facevamo anche tanti lavori manuali insieme, come strappare le erbacce nel suo giardino, per esempio. Come si svolgeva una vostra giornata di lavoro?A dire il vero, lavoravamo pochissimo: in due anni abbiamo cocnluso otto canzoni. Però parlavamo molto. Ogni maggio, per tre anni, sono partito da Livorno in traghetto con la mia inseparabile moto, sbarcavo a Olbia e mi fermavo mesi a casa sua. I tempi erano molto dilatati e le nostre giornate trascorrevano chiacchierando di Garibaldi, delle Repubbliche marinare e della prima Guerra mondiale; delle mie origini contadine e del suo sfollamento nelle Langhe. A volte mi domandavo se avesse senso tutto questo: avevo poco più di vent’anni e mi sembrava di buttare via il tempo, invece di stare con la mia ragazza. Poi ho capito che tutto quagliava e il risultato è arrivato con il secondo disco, Indiano. Perché ho intitolato il Cd Dall’altra parte del vento? È il titolo di un pezzo che pubblico per la prima volta: racconta di una notte in un bar in cui il protagonista vede nello specchio sopra il bancone l’amico scomparso, che poi gli parla e scompare con l’alba. Dall’altra parte del vento è un inno agli outsider, contro il sistema, e Fabrizio si considerava un outsider: non credeva di aver sfondato ed era convinto che il successo fosse ancora lontanissimo.

Commenti

smemorato ha detto…
molti sono rimasti ad ascoltare e a raccontare le sue storie, migrando almeno con l'anima

Post popolari in questo blog

ai posteri

l'eclisse della democrazia

qualcosa di sinistra