U pacce de case
A terra meje
| La terra mia ... La terra mia, bruciata con rabbia dal sole, con l'arsura antica, che nemmeno il sudore di migliaia e migliaia di zappatori mai è riuscito a spegnere. Ancora qualcun altro esce la domenica per messa, col dorso incurvato tutto verso terra, rimasto per sempre alla trappola di una fatica senza nessuna requie, con la catena accorciata alla pietra della zolla amara. La terra mia, tutta un colore del sangue rappreso da sempre, piena di pietre di tutto un mondo crollato - oppure ossa di quanto morti? - insieme con la maledizione della distesa delle rocce; sempre sul ciglio della vita, vergognosa come un fanciullo con la vesticciola della sorella già morta; nell'abbandono di tutti; lasciata per la speranza di un domani forse migliore... ... La terra mia buona, che aspetta - da quanto!- con la pazienza della fame seduta sul gradino, senza una mano d'aiuto, con una paura di fame che le dicano ancora: "abbi pace!" che si può muovere, un giorno arrabbiato, levando il bastone all'offesa, agli scherni. ... La terra mia, dura e sgradevole solo nella spessa pelle, schiva di piangere, delle smorfie di riso nella fattura del vino forse per non sentire e non vedere, sempre più stanca, più sola, più attristata, - perché ? - ... La terra mia vera, la terra aspra mia, che basta poca ruggine della zappa perché torni un'altra volta selvatica con i baciapiedi e i rovi; la terra col cuore mio rinchiuso, odiata con tutto l'amore di tutta l'anima, il sangue mio profondo. Che rumina amarezza di fiele, che non ha forza neppure di mutar giagitura, attonita nella morte di ogni giorno come una bestia malata sullo stabbio prostrata nel tanfo e nel silenzio del buio. |
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